Dal libro "Isole di cultura"

Sauris/Zahre -

Deutschsprachige Gemeinschaft in der Provinz Udine

PRESENTAZIONE

Zahre: Blick auf die Unterzahre; im Hintergrund der Kirchturm von S. Osvaldo

Zahre: Blick auf die Unterzahre; im Hintergrund der Kirchturm von S. Osvaldo

 

Nel 1871 Angelo Arboit descriveva così il territorio di Sauris: «Non c'è luogo più montagnoso di questo, in Carnia né più lontano dall'umano consorzio. Sia che ci si vada da Sappada, da Mione, da Ampezzo o da Forni, tra i quali paesi è compreso, non ci si arriva in meno di quattro ore» . Queste parole sintetizzano come dovesse apparire la zona agli occhi di un visitatore proveniente dall'esterno, nella seconda metà del XIX secolo.
La valle di Sauris è situata nella parte occidentale delle Alpi Carniche, in una conca che si estende in senso longitudinale lungo l'alto corso del torrente Lumiei . Confina ad est con la regione Veneto e la provincia di Belluno, più precisamente con il Comune di Vigo di Cadore, accessibile attraverso la sella di Razzo (1724 m.). A sud una cresta montuosa che va dal monte Tinisa (2100 m.) al monte Bivera (Veisperkhouvl, 2474 m.) la separa dall'alta valle del Tagliamento e dai Comuni di Forni di Sopra, Forni di Sotto e Ampezzo. Con quest'ultima località la valle di Sauris comunica attraverso il passo del monte Pura (Perkh) e la forra del Lumiei (Lunte). A ovest è delimitata dal Canale di Gorto, mentre in direzione nord-nord ovest corre un'altra cresta montuosa, che si sviluppa dal monte Col Gentile (2075 m.) al Pezzocucco (1914 m.), facendo da confine con il Comune di Ovaro e la Val Pesarina.
La vallata si sviluppa ad un'altezza superiore ai 1000 metri s.l.m.; la linea dello spartiacque che la circonda corre a quote elevate rispetto alla media della montagna friulana e non scende sotto i 1428 metri del passo Pura.
I numerosi corsi d'acqua (oltre al Lumiei, i rii Poch, Plottenpoch, Novarza con i loro affluenti) hanno scavato solo in parte i terreni della conca, costituiti in prevalenza da dolomie calcaree e calcari bituminosi, spesso ricoperti da detriti morenici e di falda. Se si escludono alcune zone soggette a fenomeni erosivi, in particolare verso il passo di Razzo e il Cadore, il paesaggio presenta una morfologia dolce, con alternanza di ampie aree boschive e pascolive, specie sul versante a solatìo, dove sono sorti gli insediamenti umani, sia permanenti che stagionali, e dove è distribuita la maggior parte delle malghe. Su questo versante la diffusione dei pascoli ha mantenuto l'estensione del manto boscoso a quote inferiori anche ai 1500 metri, mentre sul versante meridionale il limite superiore del bosco supera i 1700 metri.
Uno degli elementi caratterizzanti oggi il paesaggio saurano è il lago, un invaso artificiale creato dalla diga, costruita tra il 1941 e il 1948 nella parte iniziale della forra del Lumiei. Lo specchio d'acqua ha una superficie di oltre 1,6 kmq e occupa il fondovalle.
Il territorio compreso nella conca è amministrato solo in parte dal Comune di Sauris, essendo il resto suddiviso tra sette Comuni limitrofi. La popolazione residente supera di poco le 400 unità. I centri abitati principali sono tre. L'abitato di Sauris di Sotto (Dörf), sede comunale, è posto a 1214 m.s.l.m., al margine occidentale di una vasta area alluvionale un tempo destinata alle coltivazioni e a ridosso di un modesto rilievo, dominato dalla chiesa di S. Osvaldo. Più ad occidente, su una serie di terrazzamenti alle pendici meridionali del monte Morgenleit, si trova Sauris di Sopra (Plozn), che con i suoi 1400 metri di quota è il più alto insediamento permanente della regione Friuli-Venezia Giulia. A 1236 m.s.l.m., nella vallata formata dal rio Plottenpoch, è situato il centro più orientale della conca, Lateis (Latais). Nacque come insediamento temporaneo costituito da stavoli che si trasformarono in seguito in abitazioni permanenti. Il carattere sparso dell'abitato riflette ancora la destinazione originaria. A questi tre centri, nei quali abita circa il 95% della popolazione, si aggiungono le due borgate di Velt (1270 m.) e La Maina (Ame Lataise,1020 m.). Quest'ultima località, che si trovava inizialmente nel fondovalle, fu ricostruita più a monte dopo l'erezione della diga.

 

STORIA DELLA COMUNITÀ

L'alta valle del Lumiei era nota alle popolazioni delle valli limitrofe ben prima del XIII secolo, epoca della colonizzazione da parte di popolazioni di lingua tedesca. Lo dimostra il fatto che a quel tempo i boschi e i pascoli della conca erano già stati assegnati ai villaggi circostanti (il che spiega perché il comune di Sauris amministri solo una parte del territorio della conca). Lo dimostra anche la toponomastica . In italiano e in friulano la località è denominata Sauris, in tedesco die Zahre, in saurano de Zahre. Nei documenti più antichi sono attestate le forme romanze Sauras, Saures, Saurya e quella tedesca Zeer . Delle due forme Saurya e Zahre la prima è la più antica, mentre quella tedesca è da considerarsi «un prestito con sostituzione consonantica ad inizio parola e conseguente realizzazione della monottongazione bavarese di [-au-] in [-a:-], che quindi all'epoca della colonizzazione non si era ancora conclusa» .
Ma quando e come si verificò questa colonizzazione?
Nell'immaginario collettivo dei Saurani sono ancora vive alcune leggende, che con lievi varianti narrano di due soldati tedeschi, fuggiti dalla loro terra e rifugiatisi in questa vallata nascosta e selvaggia. Inizialmente essi vivevano di caccia, poi cominciarono, con molta fatica e tra mille difficoltà, a dissodare il bosco per ricavarne terreni coltivabili . Il sacerdote saurano Luigi Lucchini specificava che i due Tedeschi erano fuggiti «non si sa bene da qual parte della Germania (probabilmente dalla Carintia o dal Tirolo) per togliersi al duro peso della milizia» e collegava questa secolare tradizione al ricordo di una processione che i Saurani compivano ogni anno nella località carinziana di Heiligenblut (Sagritz), sede di un rinomato santuario . Una delle varianti della leggenda di fondazione afferma che i due fondatori sarebbero arrivati in località Raitrn (presso Sauris di Sotto), dove avrebbero costruito la prima capanna; pochi anni dopo uno dei due si sarebbe separato e avrebbe stabilito la propria dimora in località Rikelan (nei pressi di Sauris di Sopra). Secondo un'altra versione, i fuggiaschi erano tre e arrivarono dapprima sui monti di Sappada; non sentendosi sicuri, proseguirono fino alla valle del Lumiei, che scelsero proprio per la sua selvatichezza. In questa versione, il terzo personaggio si sarebbe insediato nel luogo chiamato Taitce gorte (orto tedesco), nella zona di Lateis.
Se dalle descrizioni affascinanti e colorite fornite dalle leggende si passa al terreno della storia, bisogna riconoscere che i documenti più antichi (noti, fra l'altro, solo in estratto o attraverso citazioni di seconda mano) non forniscono molte notizie sulle origini e sui primordi della comunità saurana. Il primo documento, ormai perduto, che ne menziona l'esistenza risale al 1280 . In questo atto Awardo, figlio di Raypreto di Socchieve, riconosce di avere in feudo dalla Chiesa di Aquileia, oltre ad altri appezzamenti e proprietà, una aira di astori ed un'altra di sparvieri "in contrata de Sauris". In un altro documento, anch'esso perduto, del 1306 veniva citata per la prima volta la località di Sauris di Sopra (Plozn): un certo Nicolò figlio di Adraboreto di Sauris ottenne dal patriarca di Aquileia l'investitura di un podere "in villa de Plazas, in loco qui dicitur Sauras" . Del 1318 è il primo documento ancora esistente, riguardante anch'esso un'investitura feudale del territorio di Sauris .
Questi scarni dati sono facilmente inquadrabili nella situazione del Friuli tra XIII e XIV secolo, con il potere civile e religioso in mano ai patriarchi di Aquileia, che amministravano il loro vasto territorio attraverso una fitta rete di feudatari ecclesiastici e laici, per lo più di etnia e lingua tedesca . Appare, dunque, logico che la Chiesa aquileiese assegnasse in feudo parte del territorio di Sauris ai signori di Socchieve, che controllavano il distretto al quale appartiene geograficamente la valle del Lumiei. Appare anche evidente che in quel momento il territorio fosse abitato, se qualcuno vi allevava rapaci da caccia. Ancor più probante in questo senso è il documento del 1306, attestante l'esistenza di una villa.
Agli atti giuridico-amministrativi andarono affiancandosi nel tempo i documenti ecclesiastici. Purtroppo un incendio, nel 1758, distrusse l'archivio parrocchiale. Un certo numero di documenti superstiti, tuttavia, consente di ricostruire le prime fasi della storia religiosa della comunità, storia che, come si vedrà, è strettamente legata alla questione delle origini.
Una bolla del 1328 concedeva quaranta giorni d'indulgenza ai fedeli che in determinate ricorrenze liturgiche avessero visitato le due chiese di S. Osvaldo e di S. Lorenzo . In un secondo documento del 22 luglio 1344, ancora conservato nell'Archivio parrocchiale di Sauris, Giovanni, vescovo di Parenzo e vicario patriarcale, confermava alla chiesa di S. Lorenzo i quaranta giorni d'indulgenza .
Queste concessioni patriarcali miravano a formare un beneficio parrocchiale che consentisse alla comunità, isolata per alcuni mesi all'anno, di mantenere un curato e di provvedere alle esigenze dei due edifici sacri, pur rimanendo formalmente soggetta alla pieve di Castoia (Socchieve). Così nel 1354 il patriarca Nicolò concedeva "due parti della Decima della Villa di Sauris al Reverendo Prete Tommaso di Contergnaco Pievano della Chiesa in Sauris per il suo sostentamento" . Il patriarca successivo, Ludovico Della Torre, nel 1364 destinava tutta la decima al mantenimento di un prete curato nelle chiese di S. Lorenzo e di S. Osvaldo. Tale concessione venne confermata nel 1376 dal patriarca Marquardo di Randeck per il mantenimento di un sacerdote nella chiesa parrocchiale di Sauris.
Il riconoscimento delle particolari esigenze e caratteristiche della parrocchia risultano ancor più evidenti da un documento del 1470, col quale si confermava il giuspatronato popolare nell'elezione del curato, mediante il voto dei capifamiglia, diritto che è stato esercitato fino agli anni '70 del secolo scorso .
La bolla del 1328 attesta l'esistenza, già a quell'epoca, di due edifici di culto a Sauris di Sotto e di Sopra, intitolati rispettivamente ai santi Osvaldo e Lorenzo. Mentre la devozione a S. Lorenzo, diacono della Chiesa romana e martire nel III secolo, è ben documentata in Italia fin dall'antichità, sulla figura di S. Osvaldo e sulle vicende legate alla diffusione del suo culto è bene soffermarsi brevemente, in quanto strettamente legate al problema delle origini e alla storia di Sauris.
Il primo a scrivere della vita di Osvaldo fu il venerabile Beda, nella Historia ecclesiastica gentis Anglorum . Secondo Beda, Osvaldo fu re del Northumberland, regione a nord dell'Inghilterra, tra il 633 e il 643. Aiutato dal vescovo Aidano, evangelizzò il Northumberland ed il Wessex, del cui re sposò la figlia. Fu particolarmente amato dal suo popolo, soprattutto per le sue doti di umiltà e generosità. Si racconta che durante un banchetto avesse fatto spezzare un piatto d'argento per donarne i pezzi ai poveri; questo episodio gli valse la profezia del vescovo Aidano, secondo la quale la sua mano destra sarebbe rimasta per sempre incorrotta. Osvaldo morì nella battaglia di Maserfield, il 5 agosto 643, ucciso dal re pagano Penda. Il suo corpo smembrato fu ritrovato un anno dopo dal fratello, che provvide a seppellire la testa a Lindisfarne, le mani e le braccia a Bamborough. Il culto di S. Osvaldo si diffuse velocemente, alimentato dalla notizia, riferita da Beda, che l'intercessione del santo avrebbe salvato il monastero di Selsey, nel Sussex, da un'epidemia di peste. Nei cronisti successivi la leggenda di Osvaldo si arricchì di aspetti prodigiosi e di particolari, volti ad evidenziarne la nobiltà di stirpe e di carattere. Egli assunse i lineamenti ideali di un cavaliere medioevale, bello e valoroso, pronto a sacrificarsi per la salvezza del suo popolo e per la fede, fino alla morte.
Nel XV secolo si diffuse in area tedesca un poema epico-cavalleresco, derivante da fonti duecentesche. Vi si narravano le vicende di Osvaldo, innamorato della figlia di un re pagano. Per poterla sposare, egli la rapisce, aiutato nell'impresa da un corvo parlante, che porta alla fanciulla i messaggi di Osvaldo e l'anello di fidanzamento. Nel poema viene anche esaltata la generosità dell'eroe. Questa versione della leggenda ha contribuito alla definizione dell'iconografia del santo, rappresentato, a Sauris e in quasi tutto il nord Italia, con la corazza e la spada (che ricordano l'eroismo in battaglia e il martirio), il mantello purpureo, la corona e lo scettro (simboli della regalità) e con un corvo recante un anello d'oro nel becco, appoggiato sulla mano sinistra. Alla stessa leggenda va ricondotta la fortuna del santo nel sud della Germania e in particolare nei paesi alpini.
A Sauris si conserva, da tempo immemorabile, una reliquia di S. Osvaldo, secondo la tradizione un pollice. Non è possibile sapere se essa fosse compresa tra le multas reliquias et sanctitates che il vescovo Nicolò trovò nelle chiese saurane in occasione della loro consacrazione nel 1361 . Quel che è certo è che la fama di cui godette la chiesa-santuario di S. Osvaldo nei secoli scorsi è legata alla presenza della reliquia. Sulle modalità con le quali essa sarebbe giunta a Sauris discussero ampiamente studiosi ed eruditi del XVIII secolo . Nel 1750 mons. Carlo Camuccio scriveva che "piacque a Dio sino da molti secoli di far portare da un Cacciatore Tedesco nella Chiesa della Villa Sauris situata nelle più alte montagne della Carnia, Diocesi di Aquileja, Stato Veneto, un Osso del Dito di s. Oswaldo Martire" . Il racconto si accorda con le leggende locali sulla fondazione, anzi, ne prende probabilmente spunto. Qualche tempo dopo, l'abate Della Stua dava un'altra versione della vicenda, sostenendo di averla raccolta dalla tradizione orale: la reliquia sarebbe stata recata da un soldato carno, che aveva preso parte alla battaglia di Maserfield e, dopo la morte del santo re, ne aveva reciso un dito per portarne con sé un ricordo . Rispunta, dunque, la figura del soldato, non più tedesco, ma carno, appartenente, cioè, alla popolazione celtica che abitava il Friuli prima dell'invasione romana . Al Della Stua fece eco Niccolò Grassi, che in un'operetta storica sulla Carnia, ricordando la presenza della reliquia a Sauris, per rendere ragione della lingua tedesca parlata in questa comunità ne faceva risalire le origini agli antichi Cimbri, costretti dalla sconfitta subita ad opera dei Romani a cercare rifugio nelle valli alpine .
Il passaggio del Friuli dalla Repubblica di Venezia al dominio asburgico, sancito dal Trattato di Campoformido (1797), suscitò l'interesse del mondo accademico di lingua tedesca per le isole linguistiche di origine germanica nella regione. Si occuparono così di Sauris e della sua lingua Josef Bergmann, il dottor Lotz, Carl von Czoernig, riportandone tutti le origini e la cultura ad una matrice tedesca. Il primo considerava i Saurani un residuo di un'antica popolazione tedesca in Friuli. Il dottor Lotz, con lo pseudonimo di Mupperg, nel 1876 propose per l'idioma saurano una derivazione dal Goto o dal Longobardico. Per verificare la tesi del Mupperg, il barone von Czoernig nel 1880 si spostò appositamente da Trieste a Sauris, riconoscendo nella lingua locale una radice franco-bavarese e sottolineando la somiglianza con la parlata di Gottschee, isola linguistica tedesca nella Carniola .
Si deve, però, ad uno studioso saurano la prima indagine linguistica approfondita, che si rivelò illuminante anche ai fini della ricostruzione storica. Nel Saggio di dialettologia sauriana (1882), il sacerdote Luigi Lucchini individuò nei dialetti delle valli carinziane di Möll e di Lesach le forme linguistiche più vicine a quelle del dialetto saurano . Nella stessa opera, come già accennato, egli riferì la tradizione, "ancor fresca" ai suoi tempi, secondo la quale in passato i Saurani solevano recarsi ogni anno in processione a Heiligenblut (Sagriz) in Carinzia, tradizione di cui non si poteva più ricostruire la motivazione, ma che alcuni sospettavano "potesse avere qualche relazione coll'origine di Sauris".
Anche il geografo Giovanni Marinelli, riconosciuta l'appartenenza delle parlate tedesche della Carnia al ramo alto tedesco, individuava, sulla base del dialetto, delle leggende e degli usi, la zona d'origine della comunità saurana in qualche vallata del Tirolo o dell'alta Carinzia (Pusteria, alta valle della Drava), dalla quale i primi coloni sarebbero partiti in pieno Medio Evo, forse favoriti da qualcuno dei Patriarchi tedeschi dell'epoca . Quest'ultima ipotesi è stata ripresa, in tempi più recenti, da Nimis e da Toller, il quale inquadrava la fondazione di Sauris «nei movimenti migratori disposti dai Patriarchi, che vollero ripopolare le terre a loro soggette deducendo parecchie colonie tedesche e slave» .
Nel corso del ‘900 è stata definita con relativa certezza la questione delle origini, ad opera di linguisti che, seguendo la via inaugurata da Padre Lucchini, hanno utilizzato i dati emersi dai loro studi sull'evoluzione del dialetto saurano per integrare le scarse testimonianze d'archivio.
In tempi diversi Giovanni Lorenzoni, Maria Hornung e Norman Denison sono giunti a conclusioni sostanzialmente concordi sullo stanziamento nell'alta Val Lumiei di coloni provenienti da un'area compresa tra la Pustertal, la Lesachtal e la Oberdrautal, più precisamente dalla parte occidentale della Lesachtal, vicina all'antico confine tirolese-carinziano . A sostegno di questa tesi, Lorenzoni ricordava anche la forte venerazione per S. Lorenzo e S. Osvaldo nelle località di St. Lorenzen e Kartitsch. Particolarmente illuminanti, poi, le osservazioni di Denison sull'espressione vezzeggiativa saurana khla kartitschar (piccolo kartitschese) per "ragazzino" e il soprannome di una famiglia di Sauris di Sotto, Tilgar, il quale ha dato nome ad un canalone franoso nelle immediate vicinanze del paese (tilgar lie). Ricordando che gli abitanti di Tilliach si chiamano tutt'oggi Tilgar, Denison trova nelle due espressioni la conferma che i Saurani derivano almeno in parte dalla zona di Kartitsch e Tilliach. Riguardo all'epoca dell'insediamento, Lorenzoni proponeva una datazione alla prima metà del XIII secolo, la Hornung al 1250 circa; Denison ritiene possibile che l'immigrazione sia durata qualche decennio (tra il 1250 e il 1280 circa).
E' giusto, infine, riportare le ultime due ipotesi formulate sulla fondazione della comunità saurana, che, sebbene non fondate su elementi concreti, hanno tuttavia un loro fascino.
Giordano Brunettin ha inserito la colonizzazione della conca nel quadro politico-economico dell'area comprendente il Friuli, la Carinzia e il Tirolo attorno alla metà del XIII secolo . Tra il 1218 ed il 1251 fu patriarca di Aquileia (in quel periodo la massima carica ecclesiastica e politica del Friuli) Bertoldo di Andechs, della famiglia dei duchi di Merania, proprietari di ampi possedimenti in Germania e Carniola, marchesi d'Istria e imparentati con i conti di Gorizia, che dominavano grandi zone della Carinzia occidentale e l'intera val Pusteria e i cui discendenti avrebbero governato anche il Tirolo. In poche parole, nella metà del XIII secolo si venne a costituire, al di là delle Alpi, una vasta dominazione nelle mani di casate consanguinee, con la possibilità di sviluppare nuove iniziative economiche, come l'allevamento e l'agricoltura in quota, praticati dai grandi monasteri benedettini collegati alle casate egemoni. Il monastero di Weingarten, presso Ravensburg, aveva acquisito nel corso dei secoli XII e XIII enormi latifondi nella Carinzia occidentale e nel Tirolo. Secondo la tradizione, una reliquia di S. Osvaldo era stata traslata proprio in questo monastero, che avrebbe favorito nei propri possedimenti la diffusione di cappelle, chiese e borghi intitolati al santo inglese. In Tirolo i beni terrieri di Weingarten suscitarono gli appetiti dei signori della contea, dando luogo ad aspre contese. E' possibile che anche in Carinzia il conflitto fosse sfociato in prevaricazioni ed episodi di violenza nei terreni del monastero. Proprio questa circostanza potrebbe aver spinto un gruppo di massari dell'abbazia, risiedenti nella valle del Lesach, a cercare rifugio e condizioni di vita più pacifiche e favorevoli in una valle remota del patriarcato aquileiese. A protezione dei coloni potrebbe essere intervenuta l'abbazia di Moggio, potente centro monastico ai piedi delle Alpi friulane. Brunettin non esclude un'altra variante a quest'ipotesi: la fondazione di una nuova comunità potrebbe essere inserita nel generale movimento di colonizzazione verso territori esterni all'Impero e, quindi, liberi da vincoli giuridici ed amministrativi, che si verificò in Germania tra XII e XIII secolo .
All'ambito monastico ha fatto riferimento pure Stefano Dall'Oglio per spiegare la presenza delle reliquie di S. Osvaldo a Sauris e nel continente europeo in generale . E' stata in precedenza ricordata l'inportanza del vescovo Aidano nell'opera di evangelizzazione del Northumberland, la regione inglese di cui Osvaldo era sovrano. Lo stesso Aidano fondò il monastero di Lindisfarne (non lontano dalle coste settentrionali del Northumberland), il cui scriptorium produsse alcuni dei più ricchi codici miniati dell'epoca. Nell'VIII secolo i monaci irlandesi e scozzesi si trasferirono sul continente, dove fondarono monasteri, diffondendo la loro scrittura, il loro pensiero ed i loro usi religiosi. Proprio a questi monaci potrebbe essere dovuto l'arrivo nell'Europa centrale delle reliquie dei loro santi, tra i quali Osvaldo era particolarmente legato a loro dal punto di vista storico, religioso e culturale. Per il resto, Dall'Oglio si ricollega all'ipotesi del Marinelli, secondo la quale l'insediamento di famiglie contadine di ceppo tedesco nelle montagne della Carnia e della Slovenia fu favorito dai patriarchi aquileiesi. Durante una di queste "emigrazioni forzate" sarebbero arrivati nell'alta val Lumiei sia i primi abitanti di Sauris che la reliquia. I primi documenti storici, uniti alle indicazioni ricavabili dalle leggende di fondazione, inducono ad immaginare la conca di Sauris abitata, nei primissimi tempi, da pochi nuclei familiari. Secondo Lorenzoni, dei sei cognomi di marca tedesca che compaiono nei registri parrocchiali a partire dal 1758 (anno dell'incendio che distrusse l'archivio parrocchiale, con tutti i registri precedenti), soltanto tre sono riconducibili al periodo dell'insediamento .
Queste prime famiglie fondarono i due villaggi di Dörf (Sauris di Sotto) e Plozn (Sauris di Sopra), dedicandosi all'allevamento, all'agricoltura e alla caccia . Il paesaggio stesso di Sauris, con la presenza di vaste superfici a pascolo sulle alture e di prati e campi strappati al bosco attorno ai paesi, rivela una pratica secolare del sistema agropastorale alpino. Oltre ai prodotti dell'allevamento, la sussistenza della comunità era legata alla coltivazione delle poche specie adatte al clima e all'altitudine (grano saraceno, segale, avena, orzo, fave, cavolo cappuccio) . Per le materie prime non reperibili in loco (soprattutto il sale, indispensabile alla conservazione degli alimenti) si ricorreva al baratto con le comunità più vicine.
E' facile immaginare che i primi coloni attingessero alle folte foreste della vallata per costruire i primi edifici (case, stalle e fienili, chiese o cappelle), utilizzando le tecniche costruttive e le tipologie architettoniche della zona d'origine. Ancora oggi, infatti, risultano evidenti le affinità tra gli edifici saurani e quelli della Lesachtal o della Gailtal, soprattutto negli stavoli (anschichtn) e nei depositi per il fieno (hittn) sparsi nei prati fuori dai centri abitati e meno soggetti, quindi, ai cambiamenti dettati dal desiderio di adeguarsi alle tipologie architettoniche delle vallate vicine.
Dal punto di vista politico-amministrativo, la storia di Sauris segue le vicende di gran parte del Friuli, governato dai patriarchi di Aquileia nei secoli XIII e XIV, passato sotto il dominio della Repubblica veneta nel 1420, ceduto nel 1797, con il trattato di Campoformido, all'Austria, sotto il cui controllo rimase (salvo una breve parentesi di dominio francese tra il 1805 e il 1814) fino al 1866, data dell'annessione al Regno d'Italia.
Nel quadro della Carnia, invece, la comunità saurana si trovò, in epoca tardo-medioevale e moderna, in una situazione particolare. Fatta eccezione per Forni di Sopra e di Sotto (soggetti alla potente casata dei Savorgnan), il resto della Carnia era organizzato amministrativamente in quattro quartieri (Socchieve, S. Pietro, Gorto, Tolmezzo) e nella Terra di Tolmezzo, la comunità più grande e numerosa, sede del gastaldo. Sebbene dal punto di vista geografico la villa di Sauris appartenesse al bacino dell'alto Tagliamento e quindi al quartiere di Socchieve, essa dipendeva direttamente dalla Terra di Tolmezzo, assieme alle ville di Sappada, Forni Avoltri, Timau e Cleulis, anch'esse comunità situate in territori di confine o in corrispondenza dei passi più importanti . In considerazione della dislocazione disagiata e dello scarso rendimento dei terreni, inoltre, nel 1392 i Saurani furono esentati dalle tasse . Quest'occhio di riguardo nei confronti della comunità continuò sotto la dominazione veneta, in linea, peraltro, con la generale politica di rispetto dell'autonomia e delle prerogative della Carnia perseguita da Venezia.
Forse nel corso del ‘500 o già nel secolo precedente si verificò, da parte di alcune famiglie di Sauris di Sotto e di Sopra, la scelta di stabilirsi permanentemente nelle due località più orientali della vallata, Lateis (Latais) e La Maina (Ame Lataise), fino a quel momento sfruttate stagionalmente per la stabulazione . Il 6 dicembre 1500 un certo Leonardo Ladeyser e sua moglie Kungundis ottennero a Roma una bolla d'indulgenza per le chiese di S. Lorenzo e di S. Osvaldo . Secondo Denison Ladeyser sarebbe la trascrizione grafica di Lataisar, abitante di Latais . Nella visita pastorale del 1602, comunque, risulta che ci fossero sedici fuochi (nuclei familiari) a Sauris di Sopra, trenta a Sauris di Sotto, cinque a Lateis e tre alla Stua .
Nel corso del '500 lo sfruttamento intensivo dei boschi della val Lumiei da un lato, il diffondersi della fama del santuario dedicato a S. Osvaldo dall'altro furono occasione, per la comunità saurana, di frequenti contatti con il mondo esterno. Nel territorio di Sauris si trovavano due boschi banditi (riservati dalla Repubblica di Venezia all'utilizzo del proprio arsenale). Gli altri boschi di proprietà della comunità venivano in parte utilizzati dalle famiglie locali, in parte affittati a commercianti del posto o forestieri. In ogni caso, lo sfruttamento boschivo divenne per Sauris, come del resto per le altre comunità della Carnia, fonte di reddito e di lavoro indotto (boscaioli, segantini, addetti alla costruzione di stue e canali per la fluitazione, carradori). Proprio a Sauris sarebbe stata installata, nel XVI secolo, la prima segheria della Carnia . L'elevata richiesta di manodopera dovette attirare nella vallata nuovi immigrati, come dimostra la presenza, nei documenti e nei libri parrocchiali, di nuovi cognomi di origine romanza (Petris, Polentarutti, Colle, Somvilla, Lucchini, Domini).
Nei documenti ecclesiastici ricordati all'inizio le due chiese di Sauris di Sotto e di Sopra godevano dei medesimi benefici e non appare alcun elemento di superiorità dell'una sull'altra. La parrocchia era unica, retta da un unico pastore che provvedeva alla cura spirituale dell'intera comunità. A partire dal '500 e per tutto il corso dei secoli XVII e XVIII, il santuario di S. Osvaldo, grazie alla fama taumaturgica della sua reliquia, divenne uno dei centri devozionali più famosi del Friuli, meta di pellegrinaggi non solo dalle località più vicine, ma anche dalle città venete, in particolare da Venezia. I visitatori, oltre a dotare la chiesa di un ricco corredo di argenterie e paramenti sacri, lasciavano cospicue offerte, che avrebbero permesso agli abitanti di Sauris di Sotto di mantenere un nuovo sacerdote, a vantaggio del paese e dei frequentatori del santuario. Perciò la comunità di Sotto, appoggiata da Lateis e dai casali isolati, nel 1637 chiese ed ottenne di poter avere un cappellano residente per tutto l'anno. L'erezione della cappellania di S. Osvaldo fu il primo passo di una lunga ed aspra contesa tra le due comunità principali, che sfociò, nel 1809, nel trasferimento della parrocchia da S. Lorenzo a S. Osvaldo .
Nonostante la perdita dell'archivio parrocchiale nell'incendio del 1758, numerosi documenti conservati soprattutto negli archivi di Udine forniscono dati utili a ricostruire la storia sociale ed economica della comunità tra i secoli XVII e XIX. Si può riscontrare, ad esempio, che le nascite e le stipule di contratti si concentravano in alcuni mesi o periodi dell'anno . Questo fenomeno è probabilmente legato all'emigrazione stagionale. Come in tutta la Carnia, anche a Sauris era diffusa l'emigrazione maschile, che consentiva di integrare il magro bilancio delle famiglie. Si verificava così che diverse persone, sia giovani che adulte, lasciassero il paese d'autunno e vi facessero ritorno in tarda primavera o in estate, per affiancare i familiari nel periodo cruciale dei lavori agricoli. Le mete, le attività intraprese, la quantità di persone coinvolte subirono dei mutamenti nel tempo. Nel 1629, ad esempio, il numero di persone assenti da Sauris è esiguo: 9 persone su 231 abitanti . Cinquant'anni dopo, sono 25 i maschi di Sauris che si trovano «in Giermania», e fra questi ci sono tre fratelli «tutti picholi che sono andati a servire» . Appare forte, in quel periodo, il legame con il mondo di lingua tedesca, tanto da giustificare l'abitudine di mandare i figli a "servire" nelle regioni austriache.
Forse già nel Seicento emigrava da Sauris qualche tessitore, ma è soprattutto nel corso del Settecento che si infittiscono le notizie su tessitori saurani impegnati a lavorare nella pianura friulana e veneta . Nel questionario napoleonico del 1807 si legge che «principiano ad emigrare in ottobre e novembre, e stanno fino in giugno. Cominciano all'età di anni 12 circa e continuano fino all'età di anni 50 circa e s'applicano ai mestieri di sarto e tessaro» .
Alcuni di questi emigranti scelsero di stabilirsi definitivamente in altri paesi. Questa circostanza, assieme ad altri fattori, quali un tasso di nuzialità piuttosto basso ed un età elevata al momento del matrimonio, contribuirono al mantenimento, almeno fino alla metà dell'Ottocento, di un regime demografico a bassa pressione, in linea con le tendenze generali dell'area alpina . Fino al 1830 si registra una sostanziale stabilità del numero di abitanti, oscillante attorno a 500.
La situazione cambia attorno alla metà del secolo, con una decisa impennata nella seconda metà. Nel 1881 a Sauris ci sono 797 abitanti, che salgono a 844 nel 1901. Tra le cause dell'incremento demografico sono da annoverare l'introduzione della coltivazione della patata, la diminuzione dei tassi di mortalità, soprattutto infantile, il progressivo incremento delle attività collegate all'allevamento e alla pratica dell'alpeggio.
Lo sbilanciamento, all'interno del sistema agropastorale, a favore dell'allevamento e della produzione casearia ebbe gravi conseguenze sull'economia locale . La popolazione di Sauris si trovò esposta ad un progressiva dipendenza dal mercato esterno, tanto che lo scrittore locale Fulgenzio Schneider ricordava le "lunghe file di gente come processioni, che partivano da Sauris poco dopo la mezzanotte, coi lumi accesi per illuminare il faticoso monte Pura", senza tenere conto del freddo né della neve, perché "la necessità costringeva di affrontare qualunque pericolo per fornirsi di un po' di grano, e specialmente anche per accontentare i mercanti di Ampezzo che, arroganti aspettavano la portata del burro" .
Dallo stesso scrittore si apprende che negli ultimi decenni dell'Ottocento, a causa dell'industrializzazione, gli uomini saurani non andavano più in pianura a fare i tessitori, ma sceglievano altre mete migratorie, ad esempio "Germania e Svizzera nel 1888, dove in nove mesi all'anno potevano farsi delle belle stagioni consecutivamente fino allo scoppio della guerra del 1915" . Nel primo ventennio del ‘900 gli emigranti saurani, spesso accompagnati dalle famiglie, sono presenti in Austria nell'area delle segherie carinziane, specialmente a Feldkirchen, e nella Svizzera tedesca . Alcune famiglie, già a partire dalla fine dell'Ottocento, scelsero invece di partire per l'Argentina, in particolare per la regione del Chaco, dove numerosi gruppi di agricoltori friulani avevano fondato città e paesi. Queste ultime emigrazioni, di carattere definitivo, dovettero funzionare da regolatore demografico, se nel decennio 1901-1911, in controtendenza con il quadro generale della montagna friulana, la popolazione di Sauris subì un calo.
La prima guerra mondiale toccò solo marginalmente la comunità, che dovette comunque pagare il suo tributo in vittime (ventisei caduti) . Le cronache ricordano l'arrivo a Sauris, nel 1916, del generale Clemente Lequio con un drappello di genieri. Durante l'occupazione del 1917-1918 arrivò nella valle anche una truppa di Austroungarici, che fece razzia di viveri, foraggio, animali e asportò i bronzi sacri e le lamiere di rame del campanile della chiesa di S. Osvaldo.
I primi decenni del XX secolo videro lo sviluppo del corporativismo ed un notevole miglioramento della viabilità e delle comunicazioni . Nel 1905 fu realizzato il collegamento telegrafico con Ampezzo. Già nel 1898 era stata istituita una latteria sociale a Sauris di Sopra, alla quale nel 1907 si aggiunse quella di Sauris di Sotto. L'anno dopo fu costituita di fatto una Cooperativa di Consumo, divenuta poi ufficialmente nel 1920 "Unione Cooperativa di Consumo", tuttora esistente . Nel 1918 fu completata la strada militare per Ampezzo, attraverso il monte Pura, tracciata dal generale Lequio.
Ma l'opera che più rappresenta, nella memoria collettiva dei Saurani, la fine del cosiddetto "isolamento" e l'ingresso nella modernità è la strada del Bûs, che collega Sauris ad Ampezzo seguendo la forra del torrente Lumiei (Lunte). Nel corso dell'Ottocento lungo la forra si snodava già un ardito sentiero e alla fine del secolo si diffuse l'idea di costruire una strada rotabile, che evitasse la salita al passo del Pura. Fu tuttavia necessario attendere il XX secolo per assistere all'inizio dei lavori, che si svolsero, tra alterne vicende, dal 1919 al 1934 . Eccezionale fu la realizzazione del ponte sul Lumiei, struttura in cemento armato ad arcata unica, lungo un centinaio di metri e alto sull'alveo 105 metri.
Tra il 1936 e il 1939 fu realizzata anche, ad opera del Genio Militare, la strada per il Cadore, attraverso l'altopiano di Razzo.
Il relativo miglioramento della qualità della vita non bastò a frenare l'emigrazione, che continuò in parte a scegliere come meta l'Argentina, ma fu diretta anche verso la Francia, in particolare verso Montauban, in Aquitania. Nel corso di un decennio (1921-1931) la popolazione passò da 834 a 750 residenti: una contrazione demografica sensibilmente inferiore alla media della montagna friulana (-9.0% contro -12.8%), così come fu notevolmente inferiore la crescita della popolazione tra 1871 e 1931 (+0.8% contro +19.9%).
Più delle cifre, è interessante l'analisi delle scelte degli emigranti. La partenza di grossi nuclei familiari, sia per la Francia che per l'Argentina, è giustificata dall'offerta di lavoro agricolo, su terra propria. Se nel periodo antecedente la prima guerra mondiale gli emigranti avevano scelto di fare i boscaioli e i segantini in Austria e in Svizzera, nel periodo tra le due guerre scelsero di fare i contadini. Si denota così la sostanziale fedeltà al genere di vita praticato nel paese d'origine .
Anche la seconda guerra mondiale interessò Sauris marginalmente, pur facendo registrare una trentina di vittime (tra militari e civili). Gli episodi più cruenti si verificarono nel 1944, legati soprattutto agli scontri e alle rappresaglie fra le truppe tedesche e i partigiani carnici . Nel dicembre di quell'anno e nei primi mesi del 1945 salirono più volte a Sauris a cercare alimenti e foraggio truppe cosacche e russe, aggregate all'esercito tedesco.
Tra il 1941 ed il 1948 la conca di Sauris fu teatro di un'opera grandiosa: la costruzione dell'impianto idroelettrico del Lumiei, con l'imponente diga di sbarramento, all'epoca la più alta d'Italia e una delle maggiori al mondo, con i suoi 136 metri di altezza. Nonostante gli eventi bellici e le difficoltà logistiche, i lavori ebbero uno svolgimento abbastanza regolare, tranne una sospensione nel periodo dell'occupazione tedesca. A causa della scarsità di manodopera locale, impegnata sul fronte, tra la primavera e l'autunno 1943 vennero impiegati nei lavori 300 prigionieri di guerra neozelandesi. Ben 21 operai persero la vita durante la realizzazione. Le case della località La Maina, che si trovavano nel fondovalle riempito dal bacino artificiale, furono ricostruite più a monte.
Nel dopoguerra riprese con vigore l'emigrazione, diretta verso l'Italia e soprattutto verso il Friuli, secondo una tendenza che già aveva caratterizzato il periodo immediatamente precedente il conflitto, quando i divieti di emigrare all'estero avevano favorito i movimenti migratori interni . Nel periodo 1945-1976 emigrarono da Sauris circa 740 persone. Tra il 1951 ed il 1971 la popolazione calò del 25%.
Questo spopolamento massiccio, comune a tutta la montagna friulana, rese evidenti la crisi dei modelli di vita tradizionali e la rottura degli equilibri economici interni. Al calo demografico si accompagnarono infatti la drastica riduzione dei capi di bestiame, la diminuzione della percentuale di occupati nell'agricoltura e nell'allevamento, il sempre più ridotto sfruttamento dei pascoli e delle strutture in alpe .
Nel 1976 il Friuli fu colpito da un disastroso terremoto, le cui conseguenze nel territorio di Sauris furono abbastanza contenute. Paradossalmente, questo evento segnò per la terra friulana l'inizio di un riscatto sul piano sociale, economico, culturale. Nella seconda metà degli anni '70 e all'inizio degli anni '80 la comunità saurana diede segnali di risveglio, con il sorgere di gruppi ed associazioni impegnati nella valorizzazione della lingua e della cultura locali (il coro "Zahre", il Circolo Culturale Saurano "Fulgenzio Schneider"), con iniziative di recupero dell'architettura spontanea e delle attività artigianali tradizionali (lavorazione del legno, tessitura) e con il potenziamento di attività già esistenti (lavorazione delle carni suine, turismo). Emblematico appare in questo senso l'anno 1980, nel quale fu festeggiato con convegni e manifestazioni il settecentenario del toponimo "Sauris" e fu varato dall'Amministrazione comunale il "Progetto Sauris", progetto di sviluppo integrato, il cui perno era costituito da un turismo a basso impatto, con formule innovative e rispettose dell'ambiente e della fisionomia della comunità .
Nel 1983 il Comune beneficiò di una legge regionale speciale (L.R. 2/83) per la tutela delle tipologie tradizionali dei centri storici di Sauris di Sopra e di Sotto. I cospicui finanziamenti permisero la ristrutturazione di buona parte del patrimonio edilizio, il rifacimento delle opere di urbanizzazione primaria e delle strutture comunitarie di servizio.
Negli ultimi vent'anni le scelte effettuate sembrano aver momentaneamente scongiurato il rischio dell'estinzione della comunità. Accanto al turismo, si sono consolidate o sono state avviate attività economiche compatibili (artigianato, edilizia, prodotti alimentari) in grado di garantire la permanenza dei residenti .
All'orizzonte si prospettano ora nuove sfide, come l'evoluzione da un turismo "stanziale" ad un turismo "di passaggio" o la ricerca di soluzioni per un rilancio del turismo invernale, in crisi per la carenza di neve e per la mancanza di strutture sportive di forte richiamo.
Da tempo ormai è in forte declino il settore dell'agricoltura e dell'allevamento, con logiche conseguenze anche sull'ambiente.
Ma la sfida maggiore appare quella legata al mantenimento dell'identità e della specificità culturale e linguistica della comunità.

LE TRADIZIONI

Le trasformazioni avvenute soprattutto nel corso del XX secolo hanno avuto profonde ripercussioni su diversi aspetti della cultura, materiale e simbolica, della comunità di Sauris. La descrizione delle tradizioni principali qui fornita fa riferimento ad un periodo coincidente, più o meno, con la prima metà del '900. Alcune di queste consuetudini si sono ormai perse, altre sono sopravvissute o sono state recuperate, spesso con modalità e tempi diversi rispetto al passato, per adeguarle alle mutate esigenze.
Gli eventi e le tappe più importanti nella vita dei singoli e delle famiglie erano vissuti dai Saurani con semplicità e sobrietà, in accordo con il loro temperamento e con un forte sentimento religioso. Questa profonda religiosità si esprimeva nelle ricorrenze liturgiche, ma anche nelle pratiche devozionali quotidiane e domestiche (le preghiere, il Rosario serale, il segno della croce al suono dell'Angelus) e in una serie di piccoli riti propiziatori e di scongiuro, che oggi vengono facilmente bollati come superstizioni, ma che un tempo erano fonte di sicurezza e di sostegno contro le incertezze e le difficoltà della vita di ogni giorno .
In questo contesto si collocano le particolari attenzioni della donna nel periodo della gravidanza e dello svezzamento, per proteggere il bambino da influenze negative e pericoli (ad esempio, mettere nella culla o tra le fasce cuscinetti contenenti materiale benedetto: ulivo, incenso, cera, acqua). Il battesimo veniva impartito pochi giorni dopo la nascita; i bambini delle frazioni venivano portati con la gerla fino alla chiesa principale. I genitori del primo bambino nato dopo l'Epifania o dopo Pasqua (ricorrenze nelle quali veniva rinnovato il fonte battesimale) offrivano un agnello al sacerdote. Quaranta giorni dopo il parto, la puerpera doveva recarsi in chiesa a ricevere la Purificazione; prima di allora le era proibito allontanarsi da casa oltre i limiti di caduta dell'acqua dalle grondaie.
Durante la prima infanzia il trattamento riservato a maschi e femmine era sostanzialmente lo stesso, tranne che nell'alimentazione: ai neonati maschi veniva aggiunto alla pappa un pezzetto di burro, per rinforzare i lombi e prevenire l'ernia. Anche l'abbigliamento era indistinto per bambini e bambine, ed entrambi partecipavano alle questue infantili del periodo natalizio.
Con l'età scolare e l'adolescenza si accentuavano le differenziazioni sessuali. Soltanto i maschi potevano girare con le raganelle durante la Settimana Santa o accompagnare i cantori della Stella. Verso i 13-14 anni gli adolescenti dovevano "pagare il battesimo" (zoln de tafe) per essere ammessi nella cerchia dei giovani, offrendo una piccola festicciola.
La fine dell'adolescenza era sancita dalla coscrizione. Dopo la visita di leva, i coscritti e le ragazze loro coetanee, vestiti a festa, con cappelli pieni di fiori di carta e nastrini colorati, giravano per il paese e per le osterie, accompagnati da suonatori.
Questa ed altre feste erano importanti occasioni di socializzazione e conseguentemente di corteggiamento tra ragazzi e ragazze e di formazione delle nuove coppie . Il matrimonio era celebrato in maniera modesta, a cominciare dall'abbigliamento. La sposa indossava il vestito tradizionale saurano o il tailleur, nelle tinte del marrone, del verde, del grigio o del nero. Spesso gli abiti e gli accessori erano prestati, per limitare le spese. La sera della vigilia, le amiche della sposa si ritrovavano sotto la sua finestra a cantare una serenata augurale. Quando gli sposi erano di frazioni diverse, dopo la cerimonia nuziale si svolgeva il rituale del tavolino (tischle): i giovani della frazione che con quel matrimonio "perdeva" una ragazza preparavano allo sposo un tavolino con liquori e altre bevande, che lo sposo doveva pagare. Lo stesso trattamento viene riservato al giovane forestiero che sposa una ragazza del posto. Oggi al rito del tavolino si abbina solitamente o si sostituisce quello del taglio del tronco. I familiari degli sposi offrivano poi a parenti e amici un pranzo, nel quale comparivano sulla tavola pane bianco, carne, dolci, pietanze raramente presenti nei pasti di tutti i giorni. La giornata si concludeva con canti e balli.
L'ultimo evento della vita privata nel quale era coinvolta tutta la comunità era la morte. La sera, in casa dell'estinto si svolgeva la veglia funebre, alla quale partecipavano, oltre ai parenti, uno o due membri per ogni famiglia del paese. Si recitava più volte il Rosario completo, anche per tutta la notte, per accompagnare l'anima nel trapasso.
Il giorno del funerale la bara era portata a spalla dalla casa alla chiesa e da questa al cimitero . Il trasporto era effettuato da sei persone, di sesso maschile o femminile a seconda del sesso del defunto. Questo compito veniva solitamente affidato ai figliocci e alle figliocce, se il defunto era di mezza età o anziano, ai coetanei se era giovane. Le bare dei bambini erano lasciate aperte fino al cimitero; il santolo (padrino di battesimo) trasportava il coperchio, la santola la cassa, all'interno della quale erano sistemati, accanto alla piccola salma, dei fiori. Le corone funebri erano preparate a mano: i ragazzi raccoglievano fronde di abete e le componevano in forma circolare, le ragazze le adornavano con fiori colorati di carta velina. In cimitero, al termine delle esequie, tutti i presenti passavano a benedire la bara, aspergendo acqua santa.
Altri rituali tradizionali si svolgevano nel corso dell'anno, legati a ricorrenze liturgiche e spesso in concomitanza con il ciclo delle stagioni ed il calendario agro-pastorale.
Nel periodo tra Natale e l'Epifania si svolgono ancora le questue augurali di bambini e adulti. I primi compiono il giro del paese in due occasioni, cantando una filastrocca (Pistelea nel giorno dei Santi Innocenti, 's naje johr il primo giorno dell'anno) e ricevendo doni alimentari da ogni famiglia.
In date e con modalità diverse da frazione a frazione si svolge il giro della Stella. Sul far della sera, un gruppo di giovani e adulti porta attraverso i borghi una stella colorata ed illuminata, fissata su un bastone di sostegno. Fino agli inizi del Novecento il rituale era riservato a cantori maschi, tre dei quali vestiti da re magi, mentre oggi vi partecipano uomini e donne . Essi eseguono antichi canti augurali natalizi (i Canti della Stella, Stearnliedlan) in tedesco antico, italiano, latino.
Il Carnevale (der voschankh) iniziava ufficialmente quando il sacerdote aveva finito di benedire le case . Solitamente si andava in maschera il giovedì, il sabato e la domenica. I festeggiamenti del Carnevale tradizionale saurano hanno molte caratteristiche in comune con quelli di altre zone dell'arco alpino. Tipica, ad esempio, è la divisione in maschere belle (de schean schembln) e brutte (de scheintan schembln). Le prime indossavano i vestiti della festa ed erano aggraziate e compassate nei movimenti. Le altre portavano vestiti consumati e rattoppati e si comportavano in maniera rozza e sgraziata. Le maschere erano sempre in coppia. Chi si vestiva da uomo aveva il volto coperto da una maschera lignea oppure camuffato con fuliggine (specialmente le maschere brutte); chi era vestito da donna portava sul volto un velo o un pezzo di stoffa bianca, trattenuti sul capo da una kapelina, un cilindro di cartone decorato con fiorellini di carta, perline e lunghi nastri.
Solo verso la metà del '900 alle maschere brutte e belle si aggiunsero le riké, che richiamano mascheramenti di tipo slavo-alpino. Esse indossavano pantaloni o gonnellini bianchi o dai colori chiari e una camicia bianca alla quale erano applicati fiorellini di carta. Molto colorato era anche il copricapo, simile alla kapelina delle maschere belle, ma ancora più sgargiante di fiori e nastri. Le riké giravano con strumenti musicali o oggetti rumorosi, cantando una filastrocca.
Le vecchie maschere lignee di Sauris, attualmente conservate nel Museo delle Arti e Tradizioni Popolari di Tolmezzo, rispetto alle maschere di altri paesi del Friuli si caratterizzano per una maggiore compostezza e sobrietà nell'espressione, per la regolarità dei tratti e la delicatezza dei colori, anche se non mancano maschere dai tratti grotteschi.
Il rituale della mascherata era semplice e ripetitivo. Sul far della sera, nelle vie dei paesi girava per tre volte il rölar, avvisando che era tempo di vestirsi: "Haint geaman schembl!" (stasera si va in maschera!). Il rölar, vestito con indumenti vecchi e laceri, il volto coperto da una maschera o da uno spesso strato di rues (fuliggine), portava in vita una cintura alla quale erano appese le röln, sfere di bronzo che racchiudevano una pallina e che, agitati, producevano un suono cupo, che serviva ad avvisare le maschere, ma anche a terrorizzare i bambini, ai quali la mascherata serale e il successivo ballo notturno erano preclusi.
Le maschere si radunavano nel punto stabilito e cominciavano a girare il paese, casa per casa, accompagnate da uno o due suonatori e dal kheirar. A seconda delle località e dei periodi, la figura del kheirar poteva coincidere con quella del rölar o essere impersonata da un altro uomo o ragazzo. I termini kheirar e rölar non indicano tanto un tipo di maschera, quanto una funzione. Il kheirar portava abiti scuri, grosse dalmine (zoccoli di legno) da stalla, una maschera dall'espressione severa e soprattutto una grande scopa di saggina, dalla quale prendeva il nome. Kheirn, infatti, significa spazzare e questo era il compito precipuo del personaggio. Quando le maschere arrivavano davanti ad una casa, egli batteva col manico della scopa sull'uscio, entrava in cucina, spazzava il pavimento con ampi movimenti circolari, faceva entrare i suonatori e poi la prima coppia di maschere, che eseguiva alcuni giri di danza e usciva. Il kheirar scopava di nuovo il pavimento e faceva entrare la seconda coppia, e così via, prima le coppie belle e dopo le brutte, fino all'ultima coppia. Poi il gruppo si spostava nella casa successiva e ripeteva lo stesso rituale. Alla fine il gruppo si ritrovava in uno stanzone abbastanza ampio per accogliere tutte le coppie. Qui si svolgeva il ballo vero e proprio, che si protraeva per diverse ore.
I gesti compiuti dal rölar e dal kheirar hanno un chiaro significato simbolico: il suono dei campanacci ha il compito di allontanare le forze negative e gli spiriti nocivi. Anche il rituale della scopa è legato all'esigenza di spazzare via il vecchio, il brutto, per far posto al nuovo, al bello, al ritorno della primavera e al rinnovarsi della vita.
Pur nella ripetitività, c'era comunque lo spazio per trovate e mascheramenti sempre nuovi. Nei tempi antichi, nella terzultima domenica tutti si vestivano bene, perché era la domenica dei signori, dei benestanti (hearnsuntach). La penultima domenica, quella dei contadini (pauarsuntach), le maschere imitavano i lavori dei campi, con gli attrezzi appositi. L'ultima domenica, quella dei mendicanti (petlarsuntach), durante il giorno tre ragazzi facevano il giro del paese, raccogliendo generi alimentari (farina, uova, strutto, burro, ricotta) con i quali la sera veniva preparata una cena di gnocchi per le maschere. Il giovedì grasso (vastignpfinzntokh) nelle osterie o nelle case si mettevano in scena parodie dei mestieri (arrotino, dentista, venditore ambulante) e si imitavano persone del paese.
A partire dagli anni '60 del Novecento i festeggiamenti carnevaleschi si adeguarono sempre più a mode importate dall'esterno, finendo per perdere completamente i loro tratti peculiari. Nel 1992 la Pro Loco pensò di rispolverare il Carnevale tradizionale, con la collaborazione della scuola elementare, che svolse una ricerca sul tema. Due artigiani locali realizzarono diverse maschere in legno, copiando o ispirandosi ai modelli originali, conservati a Tolmezzo. Così il Carnevale saurano viene oggi riproposto, con alcune modifiche, legate alle mutate esigenze della popolazione e allo sviluppo del turismo, ma con una sostanziale fedeltà al rituale tradizionale. Certo sono andate ormai perse la spontaneità e l'allegria spensierata, rievocate dagli anziani nei loro racconti.
Nella Settimana Santa i bambini girano per le strade con le loro chiassose raganelle, il cui strepito sostituisce il suono delle campane, mentre nelle chiese si commemorano con austere funzioni la Passione e Morte di Cristo. Tra le celebrazioni del Triduo pasquale, particolarmente suggestiva è la processione che si svolge a Sauris di Sopra nella sera del Venerdì Santo: una grande croce con i simboli della Passione viene portata attraverso il paese, tra il gracidare delle raganelle e fuochi e lumini accesi ai bordi delle strade.
Ogni frazione ha le sue ricorrenze religiose. Le più sentite sono quelle patronali (S. Osvaldo a Sauris di Sotto, S. Lorenzo a Sauris di Sopra, SS. Trinità a Lateis, Patrocinio di S. Giuseppe a La Maina) e quelle dedicate alla Madonna. La statua del santo festeggiato e, quando esiste, la reliquia vengono portate in processione. In queste ed in altre ricorrenze si svolgono in chiesa alcune benedizioni rituali: dell'acqua, del sale e della frutta all'Epifania, del pane a Pasqua, del mazzo di fiori ed erbe officinali (baipusch) alla Natività di Maria. In generale le festività religiose sono celebrate con minor solennità e partecipazione che in passato, ma rimane ancora forte il sentimento di affermazione dell'identità comunitaria ad esse collegata. Negli ultimi anni sono state riprese alcune usanze, ad esempio il pranzo dei malghesi in Canonica nel giorno di S. Osvaldo (5 agosto), ricorrenza nella quale i conduttori degli alpeggi scendevano a Sauris di Sotto per portare al sacerdote le offerte in formaggio (quartese) e venivano ospitati per il pranzo.
Strettamente collegata al senso d'identità della comunità è anche la tradizione del pellegrinaggio al santuario austriaco di Maria Luggau, in Lesachtal. I pellegrini saurani vi si recavano a piccoli gruppi, camminando per quattro giorni e facendo tappa, sia all'andata che al ritorno, a Sappada. Non è nota l'origine di questa consuetudine. Forse essa nacque in seguito a qualche voto espresso dalla comunità, oppure fu legata al tipo di miracoli per i quali questo luogo di culto era conosciuto. Si è tramandato fino ad oggi il racconto del pellegrinaggio di una famiglia di Sauris di Sopra con un bambino morto, trasportato in una gerla e miracolosamente "resuscitato" nel santuario, giusto il tempo per poterlo battezzare . La tradizione, venuta meno con la prima guerra mondiale, è stata recuperata in anni recenti. Come in passato, questo itinerario religioso da un lato porta i Saurani nelle terre d'origine, dall'altro costituisce un'occasione di incontro con l'altra comunità germanofona di Sappada.

Zahre:

Zahre: "Schöne Masken" (scheana schembin) beim Zahrer Fasching

COMUNITÀ LINGUISTICA

Zahre: Kirchweihfest von S. Osvaldo, 2000

Zahre: Kirchweihfest von S. Osvaldo, 2000

Il dialetto di Sauris appartiene al gruppo bavarese meridionale dell'alto tedesco. Presenta quindi notevoli analogie con i dialetti tirolesi e carinziani, appartenenti al medesimo ceppo.
Come già ricordato, a partire dall'800 si manifestò un notevole interesse per l'idioma saurano da parte di linguisti italiani e stranieri, i cui studi hanno permesso di definire la zona di provenienza dei primi coloni e il periodo dell'insediamento, in base al confronto con i dialetti delle vallate austriache più vicine e all'analisi dei fenomeni fonetici e morfologici . Oltre al ruolo di supporto ed integrazione delle fonti storiche, l'importanza del saurano è legata anche alla possibilità, per gli studiosi, di ricostruire l'evoluzione del tedesco e di approfondire numerose questioni linguistiche .
Una delle caratteristiche del dialetto saurano è sicuramente la ricchezza di dittonghi, conforme alla dittongazione delle vocali lunghe dell'alto tedesco, comune alle isole linguistiche tedesche del Triveneto. Come constatava Lorenzoni, nel dialetto saurano appare perfetta la dittongazione del medio alto tedesco ê > éa e m.a.t. ô > óa, fenomeno che risale alla metà del IX secolo, e quella di î > ái e û > áu, che si sviluppò tra XI e XII secolo (XIII per i territori al di qua del Brennero) . Abbiamo così, per esempio: m.a.t. ÊWIC > éabik (eterno), MÊR > méar (più); m.a.t. NÔT > nóat (bisogno), HÔCH > hóach (alto), RÔT > róat (rosso); m.a.t. LÎTE > láite (costone), SÎTE > sáite (lato, costa); m.a.t. HÛZ > háus (casa), KLÛBEN > khláubm (raccogliere).
Perfetta appare anche l'evoluzione del m.a.t. a ad o, ad esempio in m.a.t. ALT > olt (vecchio), HAR > hor (lino), WANT > bont (parete).
L'evoluzione di e e di ë del m.a.t. ad ei in sillaba lunga o allungata, fenomeno abbastanza remoto, ha dato luogo a m.a.t. EBEN > éibm (piano), ECKE > éikhe (angolo, cima), BRËT > préit (asse).
Sono, inoltre, presenti nel saurano i dittonghi úe (derivato dal m.a.t. uo), ai (da m.a.t. iu) ed óu (dall'allungamento della vocale o): m.a.t. GUOT > gúet (buono), BLUOME > plúeme (fiore), KRIUZE > khráits (crocefisso), NUWE > náie (nuovo), BIUNTE > páinte (terreno recintato), TOR > tour (portone), GLOCKE > kloukhe (campana), LOCH > louch (buca).
Non ci sono, invece, tracce del passaggio della e metafonica ad a, avvenuto nel territorio bavarese intorno all'ultimo ventennio del XIII secolo. Poiché nel saurano la e metafonica si è conservata, è ovvio, secondo Lorenzoni, che i coloni tedeschi lasciarono le loro terre d'origine prima della fine del ‘200.
Caratteristico è il turbamento delle vocali i davanti a r e o davanti a r ed l: khurche per Kirche (chiesa), hurte per Hirte (pastore), burt per Wirt (oste), ört per Ort (luogo), bört per Wort (parola), dörf per Dorf (villaggio), böl per Wohl (bene), bölke per Wolke (nuvola), hölz per Holz (legno).
C'è ancora da segnalare la monottongazione bavarese di au in ā, che dà come esito m.a.t. LOUFEN (attraverso laufen) > lāfn (correre), ma anche rom. Sauras o Saures > Zāre, che dimostra che all'epoca della colonizzazione il fenomeno non si era ancora concluso.
La sostituzione consonantica s > z(ts) ad inizio parola si ritrova anche in altri prestiti romanzi, ad esempio rom. secchia (dal lat. situla) > zigl.
Per quanto concerne le consonanti, un altro fenomeno di rilievo riguarda l'evoluzione della bilabiale b a w (italiano v), che nel bavarese alpino è documentata dal XIII secolo in poi. Nel saurano questa evoluzione si è arrestata alla fase b, quindi m.a.t. WINKEL > binkhl (angolo), WALT > bolt (bosco), WAZZER > bosser (acqua), WANT > bont (parete).
La p del m.a.t. si conserva ad inizio di parola: pame per Baum (albero), prueder per Bruder (fratello), peisar per Besser (meglio).
Si conserva anche la v del m.a.t.: vues per Fuß, vride per Friede (pace, tranquillità), vrogn per fragen (domandare).
Altrettanto interessante e fecondo di spunti e riflessioni si è rivelato lo studio del lessico. La presenza di certe parole ed espressioni che nel tedesco meridionale sono entrate nella seconda metà del XIII secolo (pis "fino a", begn "per via/ragione di", zome "insieme"), è uno degli elementi che inducono a datare la fondazione della comunità tra il 1250 e il 1280 . Anche la forma voschankh, ted. ‘Fasching', per il Carnevale è un importante indicatore per la datazione dell'insediamento. Essa è precedente all'innovazione 'Fasenacht', che si trova, ad esempio, a Sappada nella forma vosenocht .
Di difficile interpretazione è invece la presenza di parole come agngleiser (ted. Augengläser, "occhiali"), ure (Uhr, "orologio"), stunde ("ora"), piksn (Büchse, "schioppo"), khugl (Kugel, "pallottola"). Questi termini erano sconosciuti nella prima metà del ‘200, poiché si riferiscono a cose che non sarebbero state inventate prima del ‘300. E' possibile, dunque, che siano stati importati dopo l'arrivo dei primi coloni, oppure che l'insediamento, iniziato subito dopo il 1250, si sia protratto fino al 1300 e oltre .
Certo è, come afferma Denison, che «a partire dal 1350 all'incirca, le denominazioni di innovazioni materiali non vengono normalmente più dal paese di origine ma, con rare eccezioni, dal territorio linguistico neolatino» .
Questa considerazione introduce il tema dell'evoluzione del dialetto saurano. La necessità di intrattenere rapporti sociali ed economici con le comunità vicine e con le istituzioni sovraterritoriali ha indotto fin dall'inizio i Saurani ad apprendere altre lingue, determinando una condizione di pluriglossia. Nonostante ci fossero, fino al XIX secolo, persone che non conoscevano altro idioma che il saurano (soprattutto donne), era abbastanza usuale riscontrare la conoscenza e l'utilizzo di tre lingue: il saurano per la comunicazione familiare e paesana, il friulano (soprattutto nella variante carnica) per i contatti con i paesi vicini e di pianura, l'italiano per gli atti ufficiali e le comunicazioni scritte in genere.
La distanza dalla madrepatria ed il parziale isolamento resero molto difficile attingere al repertorio linguistico delle terre d'origine (dove, nel frattempo, il tedesco si stava sviluppando per proprio conto) per disporre di neologismi, adatti a designare nuovi oggetti, tecniche di lavoro, concetti. Fu così naturale ricorrere a prestiti linguistici dalle comunità vicine. Questa permeabilità non rimase limitata al lessico, ma si estese a tutti i livelli della struttura linguistica (morfologico e sintattico). Fino alla fine dell'Ottocento, comunque, il divario tra il saurano e il tedesco parlato nei Paesi d'oltralpe doveva essere limitato, grazie anche alla presenza di testi di catechesi in tedesco e all'esistenza di una "scuola in tedesco" (forse un corso serale). A Josef Bergmann, che nel 1849 aveva affermato che i Saurani parlavano un dialetto tedesco molto corrotto, frammisto a parole italiane e ad espressioni incomprensibili e pronosticava al loro dialetto una rapida totale scomparsa, nel 1882 Padre Luigi Lucchini replicava: «Non si può negare che il nostro dialetto, investito da ogni parte dal Carnico e dal Cadorino, non si sia stemperato e corrotto, accettando, a danno della sua purezza, molte voci che man mano gli venivano imposte; ma, quanto a vita, esso non è certo prossimo alla sua estinzione come avvisava il Bergmann. Noi sappiamo anzi che in alcune case più segregate dal commercio coi forestieri, da quelle donne specialmente di antico stampo che appena due o tre volte sono uscite dal bacino di Sauris, si parla il dialetto con una purezza relativamente ammirabile; e così, crediamo, si parlerà in seno alle famiglie dai loro nipoti da qui a due, tre secoli» .
Dal punto di vista sociologico, tuttavia, la situazione di "isola" etnolinguistica e la consapevolezza della diversità indusse nella popolazione un senso d'inferiorità, che si accrebbe nel corso del '900, quando il miglioramento della viabilità rese più facili e frequenti i contatti con l'esterno. Il disagio e la vergogna erano acuiti dall'atteggiamento degli abitanti dei paesi limitrofi, che spesso deridevano i Saurani e li apostrofavano come crautins (mangiatori di crauti e, per assonanza, cretini). Nel sistema linguistico saurano, il dialetto tedesco divenne dunque il codice di minore prestigio, inadeguato ai rapporti che non fossero strettamente quelli paesani e privo della qualifica di lingua .
A questo "indebolimento" interno si aggiunsero le sollecitazioni e le pressioni da parte delle istituzioni, soprattutto scolastiche. Se fino agli anni '50 la maggior parte dei bambini in età pre-scolastica parlava saurano e imparava l'italiano solo a scuola, dagli anni '60 fu richiesto ai genitori di non insegnare il dialetto saurano ai propri figli, per non interferire con l'apprendimento della lingua ufficiale. Negli ultimi decenni l'aumento della scolarizzazione, la massiccia diffusione dei mezzi d'informazione, l'intensificarsi dei rapporti con persone esterne alla comunità, l'accresciuta percentuale di matrimoni esogamici hanno contribuito a ridurre drasticamente la conoscenza e l'utilizzo dell'idioma locale.
Non esistono stime ufficiali sulla diffusione attuale del saurano. Secondo una recente tesi di laurea, la percentuale dei parlanti all'interno della comunità è del 70% . Il 13% degli abitanti ha una competenza passiva, il 17% una competenza nulla . La percentuale dei parlanti è più alta nelle classi di età più elevate (quasi il 100% tra i nati prima del 1929). Con il diminuire dell'età aumenta generalmente la conoscenza passiva a scapito di quella attiva. Nelle generazioni più giovani, inoltre, c'è un maggiore ricorso a prestiti ed una spiccata tendenza a parlare il dialetto seguendo le regole sintattiche dell'italiano.
Il saurano è usato in ambito familiare, nei locali pubblici, nei negozi, nei luoghi di lavoro. L'utilizzo appare condizionato non tanto dal luogo, dalla situazione o da ragioni di prestigio, quanto dalla capacità o meno degli interlocutori di capire e parlare la lingua locale. Negli ambienti pubblici, si verifica spesso che la presenza di persone con competenza passiva o nulla induca ad adottare un codice linguistico comprensibile a tutti. In casa questa situazione appare meno vincolante e sembra prevalere l'abitudine. Ad esempio, i nonni dialogano in saurano tra di loro e con i figli, in italiano con i nipoti.
Si riscontra ancora un largo utilizzo del saurano nella toponomastica. Purtroppo molti nomi documentati fino ai primi decenni del '900 sono andati persi, soprattutto quelli legati ad attività scomparse o a località poco frequentate, ma quelli più noti sono tuttora nell'uso comune, anche se alcune persone li utilizzano senza conoscerne il significato. Le tabelle stradali all'ingresso dei centri abitati recano, sotto il nome italiano della località, quello saurano, in caratteri più piccoli. Esistono poi gli hausnomen, identificanti una singola abitazione o gruppi di abitazioni e derivanti dalla posizione dell'edificio (ad esempio Poudnar, Gruebar), dal mestiere o dal nome di qualcuno che lo avesse occupato (Maurar, Schuestar, Sefn). Questi nomi accompagnavano solitamente il nome proprio, in sostituzione del cognome, e permettevano di identificare subito e in modo inequivocabile le persone, soprattutto in caso di omonimia. Gli hausnomen sono tuttora usati con questa funzione soltanto dagli anziani; tuttavia diverse famiglie, negli ultimi anni, hanno apposto accanto all'uscio di casa una tabella di legno sulla quale è inciso il nome della casa. L'Amministrazione comunale ha in cantiere un progetto articolato di ripristino e valorizzazione di questa "microtoponomastica" all'interno dei paesi.
C'è una certa sopravvivenza del saurano anche nella sfera ecclesiastica. L'uso della lingua locale, ma anche del tedesco standard, nella liturgia, nella catechesi, nella pratiche devozionali domestiche è ampiamente documentato per il passato. Per i secoli più remoti appaiono significative le richieste, da parte dei parrocchiani, di sacerdoti in grado di parlare la lingua locale e la presenza di alcuni preti sappadini (sebbene in misura minore rispetto a quella di sacerdoti saurani a Sappada). Verso la metà dell'800 mons. Giorgio Plozzer tradusse il catechismo in saurano. Finché ci furono presbiteri capaci di esprimersi nella lingua locale, le omelie e le confessioni si svolgevano in saurano. Una serie di quadri della Via Crucis in tedesco, nella chiesa di S. Lorenzo, a Sauris di Sopra, e un repertorio abbastanza ricco e vario di preghiere in saurano induce a ritenere che pure nelle forme devozionali paraliturgiche si preferisse la lingua locale. Negli ultimi decenni, grazie anche all'appoggio di due sacerdoti particolarmente sensibili e attenti alla cultura locale, si è assistito ad un recupero di testi, orali e musicali, del patrimonio religioso saurano, tra i quali i Canti della Stella e alcune preghiere. Da un anno nella Messa domenicale si recita il Padre Nostro nella traduzione saurana di Ferrante Schneider. Ad altri studiosi e appassionati locali si deve, inoltre, la traduzione di brani delle Sacre Scritture e della "Zahrar Meisse" (Messa saurana), eseguita per la prima volta dal coro "Zahre" nel 2000.
Nel 1990, su iniziativa del maestro Ferrante Schneider, il dialetto saurano venne introdotto nella scuola di Sauris, sotto forma di attività facoltative rivolte agli alunni delle elementari. Il maestro Schneider predispose traduzioni di fiabe, filastrocche musicate e un opuscolo contenente elementi grafo-fonematici . L'attività di Ferrante Schneider è stata continuata negli ultimi anni dalla maestra Novella Petris. Nell'anno scolastico 1996/97 l'insegnamento del saurano e in saurano è divenuto obbligatorio, in base al progetto di sperimentazione (L. 297/94, art. 278) "Valorizzazione e salvaguardia del patrimonio culturale e linguistico dell'isola alloglotta di Sauris (Udine)". Attualmente la lingua e la cultura saurana vengono insegnate nella scuola materna (cinque alunni) ed elementare (quattordici), per un rispettivo monte orario settimanale di otto ore. Occasionalmente vengono coinvolte persone del luogo, in veste di "esperti" delle tradizioni. Molto utile si è rivelato il sostegno dell'Università di Udine (Cattedra di Didattica delle Lingue Moderne), con la collaborazione della quale sono stati realizzati il libro "Der Relé unt de glikhlikhat" (testo quadrilingue: italiano, friulano, saurano, timavese) e la videocassetta "Bielscrivint". Non potendo disporre di strumenti didattici già pronti, nel corso degli anni l'insegnante ha dovuto creare autonomamente i materiali per poter svolgere la propria attività. Questi materiali verranno inseriti in un libro di lettura per la scuola elementare, di prossima pubblicazione.
Nonostante l'entusiasmo e l'impegno di insegnanti e bambini, i risultati appaiono molto condizionati dalla mancanza di continuità oltre la scuola elementare e dal mancato o scarso apprendimento del dialetto nell'ambito familiare.

 

NORMATIVE E LORO ATTUAZIONE

Le comunità germanofone del Friuli-Venezia Giulia godono di una specifica tutela da parte della Regione, in base alla Legge 4 del 15 febbraio 1999. Essa prevede il finanziamento a progetti legati alla difesa e salvaguardia della cultura e lingua locali.
Grazie a questa legge, è stato possibile realizzare una serie di iniziative: la pubblicazione di studi e ricerche sul saurano e sulla cultura locale; la registrazione su CD della "Zahrar Meisse" e la pubblicazione dello spartito della stessa; la realizzazione di mostre tematiche presso il Centro etnografico di Sauris di Sopra e di una videocassetta ad uso didattico sulla lavorazione del legno ("Bie d'ont 's hölz gorbatet"); lo studio e la catalogazione dei paramenti e degli arredi sacri della chiesa di S. Osvaldo, che verranno esposti nel Centro storiografico di Sauris di Sotto, e la predisposizione di materiale multimediale sulle origini, la storia, la lingua della comunità, sempre nella stessa struttura.
Nei primi anni della sua applicazione, la L.R 4/99 finanziava soltanto i progetti presentati dalle Amministrazioni comunali; dal 2003 possono accedere ai finanziamenti anche altri enti ed associazioni locali.

VITA CULTURALE

Negli ultimi decenni la volontà di riscatto sociale e culturale e il desiderio di rivalutare tradizioni e valori radicati nella storia della comunità hanno dato vita a numerose attività, che hanno coinvolto singoli ed associazioni del paese.
Si è già parlato del ruolo sostenuto dalla Chiesa locale nella rivitalizzazione di alcune tradizioni religiose. Il bollettino parrocchiale "De Zahre reidet" (Sauris parla) da oltre trent'anni propone in ogni numero saggi di poesia e prosa in saurano, ricerche dei bambini della scuola elementare locale, articoli e notizie sulla storia e sulle tradizioni religiose e non della comunità.
In ambito parrocchiale nacque, nel 1975, il coro misto "Zahre", mosso fin dall'inizio dall'intenzione di riscoprire e valorizzare il patrimonio musicale autoctono, tanto religioso (canti in tedesco antico della tradizione natalizia) quanto profano (ballate e canti amorosi in saurano). L'interesse immediatamente dimostrato da associazioni e cultori d'oltralpe ha permesso al gruppo di esibirsi più volte in Austria e Germania e di diventare, sia in Italia che all'estero, il portabandiera della cultura e dell'identità saurana. Negli anni il repertorio si è arricchito di villotte friulane, brani di musica sacra e della tradizione popolare italiana ed estera, componimenti originali di autori contemporanei, soprattutto friulani. Tuttavia l'impegno e l'amore per la tradizione musicale locale sono rimasti il fulcro dell'attività, come dimostra il progetto della "Zahrar Meisse", concluso in occasione del Giubileo del 2000. Nato dal desiderio di un corista di avere una Messa nella propria madrelingua, esso ha coniugato un testo in saurano (traduzione delle parti canoniche della Messa latina ad opera di Tiziano Minigher) con la musica creata ex novo dal maestro Mauro Vidoni, evocando però passaggi melodici di canti della tradizione saurana .
Il Coro Zahre ha avuto nel corso del tempo un organico oscillante tra i 25 ed i 35 elementi e ha visto avvicendarsi alla direzione don Guido Manfredo (sedici anni), Ferrante Schneider (un anno), Mauro Vidoni (dieci anni) e attualmente il maestro Mario De Colle. Il suo ruolo in seno alla comunità è stato ed è rilevante anche dal punto di vista sociale, rappresentando esso un punto di riferimento e un forte momento d'aggregazione e di incontro tra persone di generazioni diverse. All'attività corale liturgica e concertistica esso ha affiancato, inoltre, l'organizzazione di corsi strumentali per ragazzi e del festival musicale internazionale "Zahrarmonie" ed il sostegno alle iniziative folkloristiche e culturali.
Una vita altrettanto lunga vanta il Circolo Culturale Saurano "Fulgenzio Schneider". Esso nacque nel 1976 per iniziativa di alcune persone che, mosse da un forte amore per la lingua e la cultura della propria comunità, decisero di dare una veste ufficiale alle attività che già svolgevano sia singolarmente, componendo poesie o dedicandosi a ricerche sulle tradizioni locali, sia collettivamente, riunendosi per discutere dei loro interessi. Dotatasi formalmente di statuto nel 1985, questa associazione ha svolto per anni una preziosa opera di valorizzazione, tutela e promozione della cultura saurana, attraverso iniziative forse non eclatanti, ma che hanno contribuito in modo decisivo alla presa di coscienza, da parte della popolazione, di possedere un patrimonio che non può andare perso. In questa direzione si collocano l'organizzazione, nel 1980, di una serie di manifestazioni per ricordare i settecento anni dalla comparsa del toponimo Sauris nei documenti, con un convegno internazionale di studi e mostre fotografiche e di artigianato locale; la collaborazione con università e associazioni italiane e straniere, tra le quali "Sprachinselfreunde" di Vienna e "Freunde der Zimbern" di Salisburgo; l'interessamento per la redazione di un vocabolario saurano-italiano, curato dal prof. Denison; interviste registrate agli anziani per ricostruire la storia locale; la pubblicazione, nel 1992, di "Raccolta di antiche tradizioni ed avvenimenti fino ai giorni nostri di Sauris", riproduzione anastatica di un manoscritto di Fulgenzio Schneider.
Questa fu l'ultima iniziativa di rilievo, alla quale seguirono alcuni anni di crisi e di inattività, causate dalla difficoltà di trovare dei ricambi alla guida dell'associazione, specialmente tra i giovani.
Nel 2002 il Circolo Culturale ha ripreso ufficialmente l'attività, riallacciando i contatti con altre associazioni e aderendo al Comitato Unitario delle Isole Germaniche Storiche in Italia. Per quanto concerne le attività locali, sono state programmate delle serate di lingua e cultura saurana ed una serie di laboratori teatrali.
Nell'ultimo decennio anche la Pro Loco si è dedicata, accanto alle manifestazioni di carattere turistico-gastronomico, ad alcune iniziative di recupero e valorizzazione del patrimonio culturale locale, ad esempio con la riproposizione del Carnevale tradizionale. L'associazione è proprietaria di un archivio di oltre 500 fotografie, illustranti la vita e i cambiamenti della comunità dalla fine dell'Ottocento ad oggi. Per divulgarle ha organizzato alcune mostre fotografiche e pubblica, dal 1997, un calendario tematico, con testi in italiano e saurano.
Nel 1994 ha aperto i battenti il Centro di informazione etnografica, nato dalla collaborazione tra il Comune di Sauris ed il Centro Studi Regionali, in particolare il gruppo di ricerca coordinato dal prof. Gian Paolo Gri dell'Università di Udine. L'Amministrazione comunale ha acquistato un vecchio rustico a Sauris di Sopra, originariamente adibito a stalla e fienile, ristrutturato in modo da conservare, all'esterno, le caratteristiche dell'architettura saurana, e da ricavare, all'interno, spazi espositivi e una saletta per conferenze e riunioni. Pensato come punto d'incontro tra gli interessi culturali locali (associazioni, scuola, singoli appassionati) e le ricerche di studiosi ed enti esterni, il Centro etnografico svolge attività di ricerca su temi della cultura materiale e simbolica della comunità, presentando poi i risultati tramite mostre temporanee e pubblicazioni. Sia nella fase di ricerca che in quella di riproposizione museografica risulta fondamentale la collaborazione della popolazione, tramite le informazioni orali, raccolte su supporto magnetico, ed il prestito di oggetti per la durata delle esposizioni.
E' in fase di allestimento il Centro di informazione sulla storiografia locale, ospitato in alcuni vani della canonica di Sauris di Sotto. Oltre ad offrire al turista notizie sulla storia della comunità attraverso materiale grafico e multimediale, esso ospiterà parte dei paramenti ed arredi sacri del santuario di S. Osvaldo.
Nello stesso edificio è stata aperta, nel 1997, la biblioteca comunale "Padre Luigi Lucchini".
Accanto alle istituzioni e alle associazioni, nel campo della cultura e della tutela della lingua hanno operato e continuano ad operare, con passione e tenacia, diversi cultori locali. Tiziano Minigher Riglar, socio fondatore e per molti anni presidente del Circolo Culturale Saurano, ha composto poesie in saurano e tradotto alcuni brani del Vangelo. Ha pubblicato sul "De Zahre reidet" molti articoli sulla lingua, sulla storia, sulle tradizioni e sulla flora della vallata. Mario Plozzer si è occupato di storia locale, con interventi sullo stesso periodico e con pubblicazioni sulla chiesa di S. Lorenzo e sull'Unione Cooperativa di Consumo . Augusto Petris, presidente del Coro "Zahre" per venticinque anni, e l'insegnante Novella Petris sono fortemente impegnati nella valorizzazione della cultura e della lingua locale e hanno portato la loro esperienza a convegni ed incontri con istituzioni culturali esterne. Bruno Petris va Plozn si è occupato della toponomastica non solo del suo paese d'origine, Sauris di Sopra, ma anche di un'altra comunità germanofona della Carnia, quella di Timau/Tischlbong . Ha curato l'antologia poetica "Testi saurani. Zarar stiklan" e scrive egli stesso poesie in saurano, friulano, italiano . Compone poesie in saurano e italiano anche Fernanda Plozzer.
Non si può non richiamare di nuovo la figura di Ferrante Schneider, che con competenza e passione ha introdotto nella scuola locale lo studio della lingua e della cultura saurana e ne ha costantemente sottolineato tra i compaesani l'importanza e la ricchezza. Egli aveva intrapreso l'elaborazione di un sussidio linguistico per tutta la comunità, opera che la prematura scomparsa, nel 1995, gli ha impedito di completare .
L'opera svolta dalla comunità di Sauris per la tutela e la valorizzazione del proprio patrimonio linguistico-culturale ha trovato spesso il sostegno di studiosi ed enti esterni. Oggi questo appoggio appare tanto più fondamentale, in rapporto alla situazione attuale e alle prospettive per il futuro.
Due sono le esigenze che appaiono prioritarie. Da un lato si avverte la necessità di poter disporre in tempi brevi di adeguati strumenti didattici per bambini e adulti e del vocabolario, iniziato dal prof. Denison. Dall'altro lato è urgente raccogliere testimonianze in tutti gli ambiti possibili, dalla toponomastica, alla gastronomia, ai racconti popolari, perché non vada irrimediabilmente disperso un patrimonio di conoscenze affidato unicamente alla memoria delle persone. Per raggiungere entrambi gli obiettivi è necessaria una sinergia tra Saurani e collaboratori esterni.
Grazie alle recenti normative in favore delle minoranze linguistiche (L. 482/99 e L.R. 4/99) oggi non mancano i fondi. Tuttavia, né le risorse economiche né le iniziative promosse dalle istituzioni potranno garantire, di per sé, un futuro alla lingua e alle tradizioni saurane, se non ci sarà un forte coinvolgimento della popolazione e l'assoluta consapevolezza che quella lingua e quelle tradizioni sono una risorsa non solo economica e turistica, ma anche e prima di tutto umana.
Non è superfluo ribadire questi concetti, espressi in maniera esemplare qualche anno fa da Denison:
«Esaminando attentamente il complesso linguistico-culturale saurano (e altri simili) si riesce poco a poco a capire meglio come lingue e culture nascono, come funzionano in convivenza e in concorrenza, e come - purtroppo - muoiono. Ci si accorge che la lingua non è soltanto uno strumento del quale l'uomo si serve, ma è anche un comportamento sociale, politico, economico, una parte dell'identità del gruppo e dell'individuo. Partecipando alla vita di una comunità, si contribuisce automaticamente al suo destino linguistico, magari senza volerlo. E' strano come certa gente creda che della sopravvivenza (o meno) di una sua tradizione linguistica possano essere responsabili altre persone o istituzioni.
La mia più grande soddisfazione sarebbe: riuscire a convincere i saurani - tutti i saurani - a continuare a parlare saurano fra di loro (cioè, dove è necessario, a tornare a parlarlo, oppure nel caso dei figli - sarà pure necessario anche farne e dar loro la possibilità di rimanere a Sauris! - a impararlo). Sembra la cosa più facile e più naturale, ma per tante ragioni, discusse da me in altra sede, sarà molto, molto difficile. Questo me lo auguro però, non perché il saurano rappresenti un aspetto della cultura tedesca (o austriaca, o germanica, o cinese) ma perché la tradizione linguistica è una parte insostituibile della storia e della cultura dei saurani; anzi, il dialetto saurano - meglio: de tsarar šproche, la lingua saurana - è l'aspetto più caratteristico, più originale dei saurani».